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Giacomo Ferri - Giuseppe Ciccia

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Giacomo Ferri

Recensioni

Parlo sempre molto volentieri della vita artistica di Giuseppe Ciccia, come mi è capitato ultimamente di farlo per una sua mostra, anche se stavolta l’occasione è sicuramente molto più importante. Avvicinarsi ad un paese come la Cina, culturalmente differente, ma con grande voglia di conoscere e sperimentare nuove forme d’arte, è un grande onore anche per un maestro con una lunga carriera espositiva come Ciccia, di conseguenza è un grande onere per quello che trasmetterà al pubblico con le sue opere assolutamente innovative, anche per una città in continua evoluzione come Shanghai.

Probabilmente dovrei parlare un po’ della vita di questo artista, del fatto che ha cominciato ad esporre quasi 45 anni fa e che ha attraversato periodi artistici importantissimi in Italia; bisognerebbe dire che è professore di figura e come i più grandi, proprio dalla figura si è evoluto nell’astrattismo; sarebbe doveroso fare un elenco delle sue esposizioni, delle collezioni private importanti che ospitano i suoi quadri, delle pubblicazioni di settore nelle quali viene nominato, ecc.; ma è sufficiente prendere la sua ultima monografia e potrete valutare personalmente quello che vi stavo accennando.

Preferisco dare una mia interpretazione della sua pittura in modo da dare, seppur in modo personale, una chiave di lettura a chi si avvicina per la prima volta ad un astrattismo di questo tipo, voglio però accennare l’importanza del suo percorso artistico, riprendendo un trafiletto scritto da una critica su di un libro uscito questo anno;

Tratto dal libro “Uno sguardo sull’arte del novecento”, di Gabriella Gentilini [...] Molto vicino a Berti, ma anche a Vedova, a Primo Conti e ai maestri dell’Informale e dello Spazialismo, è Giuseppe Ciccia che risiede e lavora a Firenze, dove ha studiato all’Accademia di Belle Arti. La sua pittura è allineata alle ricerche di avanguardia, non solo europee ma anche americane e segue il percorso di una personale sperimentazione incentrata sulle potenzialità espressive dei colori primari. La gestualità spontanea e istintiva trova il suo sbocco liberatorio nell’energia, che supera la forma per divenire tensione dinamica nello spazio, portando al suo interno un messaggio visivo non solo sulla tela ma anche attraverso l’uso di tecniche e materiali tra i più diversi. […]

La Gentilini è riuscita a trovare i punti salienti per descrivere il percorso artistico di questo maestro, da notare che i nomi citati in questo trafiletto non sono casuali, ma molto vicino alla sua crescita nell’ambiente fiorentino. Vinicio Berti è un nome storico importante nel centro Italia, visto che ha fondato negli anni ’40 il gruppo dell’Astrattismo Classico, ed è subito dopo essere uscito dall’Accademia che Ciccia ha conosciuto, frequentato e stretto un’amicizia con lui, lavorando anche gomito a gomito quando negli anni ’80 la città di Firenze chiese ad alcuni artisti di fare dei murales nel Palazzetto dello Sport. Probabilmente è proprio grazie a Berti che Ciccia ha potuto conoscere il grande Emilio Vedova e quindi poter avere con lui diverse occasioni di incontro e dialogo finalizzati all’arte astratta. Sempre negli anni ’70 si è legato a Primo Conti, altro grande personaggio nell’ambito artistico di Firenze, che è riuscito fin da giovanissimo a far parlare di sé nel mondo dell’arte contemporanea, a partire dal Futurismo a 13 anni ed alla Metafisica intorno ai 19, insomma, un mostro sacro dell’arte contemporanea.

Sicuramente un periodo proficuo di interessi e conoscenze, quello degli anni ’70 ed ’80, anni in cui anche il mercato toscano ed italiano in genere erano molto più attivi, con molta più voglia da parte del pubblico di diventare collezionisti e di coltivare una vera e propria carriera da parte degli artisti.

Vorrei rendere degna nota ad un evento importante avvenuto nel 1975, quale la fondazione di un movimento pittorico, a cui diede nome “assurgentismo” e ne stilò il manifesto;

Tratto dal manifesto dell’Assurgentismo: Un gruppo di artisti, dopo attenta disamina della situazione attuale, quanto mai confusa e contraddittoria, in cui versa l’Arte, con questa denominazione, intende levarsi in piedi:
- contro ogni mistificazione dell’Arte;
- contro tutte le forme di asservimento al fine di rendere liberi gli artisti di operare, di
trattare, di vivere in piena coscienza;
- contro i tessuti falsamente e peculiarmente creati dalla realtà odierna, che emargina gli
artisti.
Per riportare l’ARTE alla sua condizione naturale, quale evoluzione dello spirito; Arte che deve rispecchiare il momento creativo dell’artista in funzione del suo tempo;
per reinserire gli artisti nel contesto di una società quale parte viva e insostituibile per un futuro migliore a misura d’uomo. (Giuseppe Ciccia – 5 giugno 1975).

Nello stesso periodo si formava e si fortificava inoltre un’amicizia, quella tra Giuseppe Ciccia e Roberto Cavalli, il primo maturava come pittore e si faceva notare tra galleristi e mercanti, il secondo muoveva i primi passi nella moda come stilista, divenendo in seguito anche collezionista dello stesso Ciccia, attratto dalle sue opere così vivide.  
Sono queste alcune delle amicizie e delle esperienze, grazie alle quali Ciccia ha tratto ancora più vigore nel continuare a dipingere ed evolvere la sua pittura fino ad oggi, nonostante l’ambiente fiorentino e toscano in quegli stessi anni, non incoraggiava certo a proseguire per la strada dell’astrattismo; in realtà Firenze non è mai stata molto all’avanguardia nell’arte “moderna”, basta pensare alla storia di Alberto Magnelli, che attorno al 1914-15 crea i suoi primi quadri astratti totali, probabilmente il primo astrattista italiano, a distanza di 4 anni dal primo quadro astratto di Kandinskij. Magnelli era troppo “avanti” con la sua pittura e con le sue idee, che per trovare un posto adeguato alla sua ricerca di modernità ha lasciato Firenze per trovare Parigi. Una sorte molto dura è toccata anche allo stesso Vinicio Berti, 30 anni dopo Magnelli, anche se apprezzato dalla critica nazionale non si può dire sia stato apprezzato dai collezionisti e mercanti toscani dell’epoca, che non sono riusciti a capire l’importanza di ciò che Berti e il suo gruppo stavano facendo.

Da un decennio i collezionisti toscani, in particolare fiorentini, stanno rivalutando i maestri “astratti” che si sono succeduti. Anche Giuseppe Ciccia ha notato questo cambiamento d’attenzione, essendo stato anche lui succube di un collezionismo di nicchia, nonostante gli apprezzamenti istituzionali e di critica che lo hanno veduto protagonista, adesso comincia a vedere i frutti della sua scelta caparbia di non voltare pagina per tornare alla pittura “classica”, ma di continuare con il suo colorismo.

Proprio nel colore si distingue Ciccia da altri, una scala cromatica che dona positività e calore alle opere, una specie di linfa vitale che fa percepire la forza con cui sono stati eseguiti i suoi quadri, si può intuire che una parte dell’energia che l’artista impiega per dipingere, rimanga intrappolata nelle tele.

Se l’utilizzo del colore primario è una sua caratteristica, anche la gestualità lo è, gestualità accompagnata da istinto. E’ impressionante vederlo lavorare sulle sue tele, con quanta energia stende il colore, ma soprattutto il modo in cui lo fa, sembra stia scrivendo dei messaggi in un codice che solo lui conosce, evocando chissà quale pensiero dalla sua mente. Nel 2006 ho assistito ad una sua performance in occasione della sua mostra personale a Pietrasanta (Lucca), una nota cittadina che ha ospitato in passato i più grandi maestri del Novecento, sicuramente Botero è l’esempio più eclatante; per il vernissage di questa esposizione, è stato preparato uno spazio apposito nella piazza del duomo, dove è stata sistemata una tela lunga cinque metri e larga tre, direttamente a terra, solo dopo l’arrivo di una ballerina e l’inizio di un brano musicale, il maestro Ciccia è intervenuto dipingendo a tratti la ragazza ed a tratti la tela, creando così un vero capolavoro. Le decine di persone che si sono fermate ad osservare questo spettacolo, sono rimaste colpite dalla concentrazione dell’artista, ma soprattutto da tutta la serie di gesti che via via andavano a formare la sua opera.

Alcuni critici hanno paragonato l’esecuzione di un’opera di Giuseppe Ciccia all’antica arte della scrittura Cinese e Giapponese, proprio per il modo in cui l’artista “scrive” i suoi quadri;

tratto da una critica di Elvio Natali [...] Ma veniamo all’analisi dell’essenza strutturale che rende questa pittura espressiva, vitale, dinamica […] nella sintesi, o meglio simbiosi, di segno e colore, anche lo spazio bianco si redime come forma; non più supporto, inerte pausa immaginativa, assenza di significato. Fatto anch’esso energia che si effonde, misura del tempo ideativi: come effetto di una meditazione, di una concentrazione mentale e psicologica da cui scatta esultante la vigoria dell’immagine. Ciò che può far pensare alla spiritualità dell’arte orientale, alla corrente giapponese di Sho e Bokusho. […]

Ultima caratteristica preponderante di questa pittura è la sintesi, data dalla conoscenza della figura.

Come già accennato, è mio modesto parere che ogni grande astrattista sia stato inizialmente un conoscitore e fruitore della figura, di conseguenza un astrattista per essere tale deve percorrere la sua evoluzione attraverso la figura classica. Posso portare come esempio nuovamente i nomi di Vedova, Berti e Magnelli, ma sicuramente ancor più altisonanti lo stesso Kandinskij, Malevic, Mondrian e Paul Klee, l’inizio pittorico di ognuno di questi artisti è stato segnato dalla pittura classica, paesaggio o ritratto che sia, le basi per potersi in seguito evolvere e quindi astrarre dalla realtà.

Anche in Ciccia si può notare un’evoluzione di questo tipo, passando dai primi anni ’60 in cui altalenava tra la figura classica e la sperimentazione della pop-art, affascinato probabilmente dalla possibilità di utilizzare tutti quei materiali che lo circondavano, comunemente non adatti a diventare arte, ma che proprio questo grande movimento ne faceva stendardo, in un territorio per certi versi retrogrado quale la Sicilia di quegli anni.

Chiusa, per certi versi, la breve parentesi pop (si può ancora notare nelle sue tele la tendenza a sostituire i classici colori con surrogati, come ad esempio il cemento e la sabbia), continua invece a mantenere la presenza della figura, che possiamo definire transavanguardista, per poi passare durante tutti gli anni ’70 ad una figura umana sempre più astratta e sintetica, usando le parole di altri, queste opere si possono definire come post-espressioniste astratte.

Gli anni ’80 sono caratterizzati da quadri dove la figura umana si limita alla presenza di volti sintetici all’interno di evoluzioni astratte, ma ciò che impressiona particolarmente sono i suoi paesaggi, che mantengono lo status di paesaggio, con la propria profondità e prospettiva, dove si può individuare senza dubbio il tipo di ambiente rappresentato, ma assolutamente astratti, prendendo in esempio alcune tra le opere pubblicate su “Il segno dell’utopia” di Savinio Marseglia, si possono notare queste caratteristiche nelle opere alle pag. 4, 5,7 e 12.

Dall’inizio degli anni ’90 fino ad oggi, si denota un grosso cambiamento, quale l’ipotetica assenza di figura umana o costruzione paesaggistica, se non in rari e voluti casi. L’assenza è in verità ipotetica, proprio per il tipo di evoluzione che ha avuto la sua pittura, che andando avanti nell’esperienza e nel suo sperimentare continuo, hanno visto un graduale sintetizzarsi della figura, quella che prima era una donna, adesso è rappresentata da una serie di rapidi segni o fugaci pennellate, quasi ad ingarbugliare tutto il contesto, se vogliamo darne un’interpretazione estrema, ciò che è rappresentato all’interno delle sue opere non è altro che un ritorno al caos, in senso mitico, inteso proprio come gli antichi, ovvero la confusione originaria della materia informe, prima dell’ordine divino. Si potrebbe dire per assurdo, tanto si è evoluto dal puro figurativo, passando per l’astrattismo classico che ha subito un’involuzione per la troppa evoluzione.


                                                   
                                                                                                               (Giacomo Ferri)

 
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